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Anni Ottanta

Da Rossellini a Tornatore: il cinema italiano dal dopoguerra alla fine del Novecento

Anni Ottanta

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Italia

Intervista del 1991

Di Giammatteo:

Carlo Verdone è rimasto quello che era: si poteva pensare che diventasse qualcosa di 
più, invece è rimasto un autore di commedia. Lui è fermo ad un piccolo mondo provinciale e romano dove non viene fuori niente, solo piccole cose, dove va tutto bene o tutto male. Eppure in “Bianco, Rosso e Verdone” ed in “Borotalco” aveva fatto vedere degli aspetti della vita molto più aspri e quindi meno provinciali, poi si è perduto per strada, perché deve seguire il successo e non può rischiare.
Poi va ricordato il film “Porte aperte” di Gianni Amelio. Amelio è uno che vive appartato, non vive nella società del cinema, né va a farsi vedere in giro ma sta per conto suo. Quando mette insieme un suo progetto lo fa con grande cura nei dettagli, nella recitazione degli attori, nell’ambiente dove si svolge la scena, che tu resti stupito e ti domandi come mai non ti eri accorto che esisteva un autore come Gianni Amelio. Fra l’altro “Porte aperte” è stato candidato all’Oscar credo meritatamente, ed ha fatto pubblicità su un regista da valorizzare. 
Va sottolineato anche un altro autore che è Giuseppe Bertolucci, un tipo molto simile ad Amelio. “Segreti, segreti” è un film interessante dove lui ricerca nell’intimo delle persone la motivazione del suo cinema. In Giuseppe Bertolucci c’è, a mio parere, il complesso del fratello più piccolo di Bernardo che lo condiziona, gli fa sentire il peso sulle spalle del successo mondiale del fratello, e questo magari lo costringe ad essere più piccolo ancora di quello che è lui in realtà, perché “Segreti, segreti” è uno scavo dentro il terrorismo eccellente che poteva ancora essere migliorato. In questo film di Giuseppe c’è forse un legame con il Bernardo dei primi film, tipo “Prima della rivoluzione”, ma solo per necessità di fare un paragone non vincolante.
Franco Piavoli fa documentari distorcendo le immagini della natura, come nel “Pianeta Azzurro”, creando una specie di contatto mostruoso con la natura e realizzando quasi un film dell’orrore.
Siamo arrivati ai giovani registi: a quelli che “si piangono addosso”. Sono tanti: Farina, Giordana, Marco Risi, Cinzia Torrini, Francesca Archibugi, Tornatore, Ricky Tognazzi, tanto per fare qualche nome ma la pattuglia è più vasta.
Questi giovani sono proprio i figli o i nipoti di una delusione di carattere generale, culturale, politico, umano, e questa delusione li ha resi disperati, senza più possibilità di cercare fuori di sé una salvezza e si piangono addosso. I loro film sono tutti intimisti che girano intorno alla sofferenza di questi piccoli personaggi infelici che vorrebbero essere qualcosa e non lo sono, la vita li ha bastonati, gli equivoci di tutti i giorni li portano fuori strada ed allora soffrono; mi viene in mente “La Stazione” di Sergio Rubini, altro giovane regista, dove la grande avventura sembra a portata di mano, dietro una porta, e la porta si apre, ma poi passa il treno e finisce tutto. C’è presente questo “romanticismo” vecchio stile, un pò fuori da l mondo e pure finito, che però per questi giovani è vero, perché loro ci soffrono, a tal punto che riscoprono il melodramma come Tornatore, che attinge a piene mani dai vecchi film di Matarazzo. Questi giovani registi rifanno tutti i percorsi che l’Ottocento aveva fatto, attraverso il romanticismo e la sua storia fino al decadentismo. C’è qualcuno, però, che ha qualche sussulto in più: per esempio il film “Ultrà” di Tognazzi, dove c’è una rabbia maggiore degli altri nel mostrare le magagne della vita, anche se c’è sempre questo filo conduttore del piangersi addosso: questi poveri ragazzi infelici che vivono in un mondo che non li capisce, vorrebbero essere altro, ma non lo sono. Oppure i “Ragazzi fuori” di Marco Risi , che vivono in un mondo feroce , pagano le spese di colpe che non hanno e se le hanno sono poveracci, ed eccoli lì addirittura con un peso sulle spalle maggiore di quello che si meritano.
Francesca Archibugi ha fatto un film iniziale, “Mignon è partita”, che è molto grazioso, intimista, e poi ha tentato una storia più impegnativa con “Verso sera”, che doveva essere per me un film più robusto, più ampio e in questo caso non ha centrato l’obbiettivo.
Vengono fuori qui le frustrazioni e le fissazioni del 1977, cioè tutti i desideri che avrebbe voluto realizzare allora sfasciando il mondo, ma questi desideri non sono organizzati in un racconto vero: tutto quello che si dice nel film è semplicemente “la chiacchiera” di questo personaggio che non esiste e tiene lo schermo solo perché c’è un grande attore, Mastroianni, che lo sorregge. L’intimismo puro che c’era in “Mignon è partita” si è disperso ed è un peccato. Adesso, però, so che sta lavorandoal terzo film che avrà come interprete Sergio Castellitto e può darsi che con la lezione alle spalle dei due film riesca a fare lo scatto in avanti che la porti a realizzare un film importante. Il soggetto del nuovo film, stando a quello che si sa, dovrebbe essere il rapporto fra uno psicologo ed una bambina. 
Un accenno va fatto al gruppo dei toscani: Nuti, Benvenuti, Benigni e poi il napoletano Troisi. 
Dico subito che di questi mi interessa solo Benigni che è un fenomeno particolare, che stiamo aspettando per sapere dove arriverà. Ha fatto tanti piccoli botti, ma l’affermazione artistica vera, consacrata, ancora nel cinema non l’ha fatta. Benigni ha una carica vitale che sbalordisce chiunque, gli altri che ho citato sono buoni comici, come tanti ce ne sono stati in passato e come tanti ci saranno in futuro.
Felice Farina, infine, altro giovane, ha fatto un film d’esordio: “Sembra morto ma è solo svenuto”, che è spiritoso sempre pendente sul versante di quelli che si piangono addosso ma con umorismo e vivacità narrativa. il suo secondo film, “Affetti speciali”, per me è un brutto film, uno stop inaspettato, mentre il terzo film , uscito da poco, “Condominio”, rientra in carreggiata riprendendo il vecchio discorso del “Poveri noi come siamo infelici”. Infatti rappresenta questa storia che vede protagonista l’amministratore di un condominio, interpretato da Carlo Delle Piane, che è un buono e alla fine paga per tutti. C’è l’accenno di uno zavattismo di ripiego che è comune a molti altri. Ricordo in “Condominio” la interpretazione di Ciccio Ingrassia , nella parte di questo anziano e dignitoso maresciallo in pensione, che gli è valsa il “nastro d’argento”.



Fernaldo Di Giammatteo 1922-2005.
 


Di: Massimo Palazzeschi

Fonte: http://www.flickr.com/people/nicogenin/

Pubblicato il: 02/01/2012 da Massimo Palazzeschi

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