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Da Rossellini a Tornatore Il cinema italiano dal dopoguerra alla fine del Novecento - 3° Parte

3° parte Gli autori – i generi – i film più famosi

Da Rossellini a Tornatore Il cinema italiano dal dopoguerra alla fine del Novecento - 3° Parte

cinema Rubriche

Italia

A cura di Massimo Palazzeschi – (1)intervista a Fernaldo di Giammatteo del 6.12.1990 e (2)Fernaldo Di Giammatteo- “Ricordando Pier Paolo Pasolini”- atti delle conferenze, Associazione Intercomunale Valdarno S.Sud S. Giovanni Valdarno 1985, a cura di Massimo Palazzeschi.

GLI ANNI SESSANTA

(1)Gli anni Sessanta sono anni in cui il cinema italiano si rinnova, esce dal neorealismo e imbocca nuove strade che fanno sì che l’analisi della società prenda nuovi modi di raccontare, di affrontare la psicologia individuale, un pò sull’onda di Rossellini che in “Viaggio in Italia”, aveva lasciato il segno e un pò sulla spinta di questi due nuovi autori importantissimi che sono Antonioni e Fellini. Le loro opere segnano il decennio: “L’Avventura”, “La notte”, “L’eclisse”, e poi, poco dopo, “Deserto Rosso” per Antonioni; “La dolce vita”, “ 8 e ½”, “Giulietta degli spiriti” e poi il “Satyricon” per Fellini.

CINEMA E SOCIETA’ DI ALLORA

Il cinema allora era molto vivo, veniva fuori da una ricchezza culturale che accompagnava il Paese da straccione, uscito dalla guerra, a Paese industriale. IL cinema poi cerca di riflettere le tensioni sociali, dal periodo del Governo Tambroni fino al Centro-Sinistra, senza rispecchiarsi mai direttamente ma sentendo sempre qualcosa nel fondo. Del resto Bertolucci nel 1964 gira “prima della rivoluzione; questa storia provinciale dove si riflettono le tensioni, le aspirazioni, i sogni, i dubbi di questi giovani che non hanno ben capito cosa devono fare. Durante il 1968, risentendo del clima dell’epoca, si butta nello sperimentalismo e gira “Partner” e poi nel 1970 girerà “Il conformista” dal romanzo di Moravia.

ANTONIONI E FELLINI

Innovazioni nel linguaggio cinematografico.

Fellini è contemporaneo all’innovazione del linguaggio di Antonioni; tutti e due in fondo tentano di dilatare il tempo della durata cinematografica e tentano di cogliere gli aspetti non significativi nell’azione degli uomini, soprattutto in Antonioni ma anche in Fellini. “La dolce vita”, che pure è più tradizionale come storia tra il sarcastico e il patetico, contiene tuttavia momenti in cui Fellini abbandona il ritmo tipico di una storia all’americana che richiede rapidità e si lascia andare a delle osservazioni d’ambiente o psicologiche che non sarebbero concepibili in un altro film. Pensiamo a cos’è il personaggio del padre ne “La dolce vita”; quel lungo colloquio che hanno a casa prima che il padre si senta male. Sono violate tutte le regole del cosiddetto ritmo cinematografico americano, ci si ferma su questo signore che è venuto in città, trova il figlio in una situazione che non vorrebbe vedere e cerca lui stesso di avere un’avventura che non è più in grado di sostenere. Basta inserire un personaggio di questo genere dentro il film per capire come Fellini volesse fare una cosa completamente diversa da quello che si faceva di solito.
Fellini e Antonioni cercano di cambiare il linguaggio tutti e due sotto l’influenza della “Nouvelle Vague” francese e viceversa. I due registi creano un nuovo tipo di linguaggio che mette al centro della storia non più la necessità normativa di partire da un punto ed arrivare all’altro secondo certe regole, ma pone al centro della storia l’individuo o più individui, la evoluzione psicologica dei personaggi occupandosi di loro fin nei minimi dettagli, cercando di entrare dentro i loro comportamenti e realizzando un cinema “fenomenologico”, come è stato detto. “8 e ½” di Fellini, che prese l’Oscar, è il risultato di una frequentazione del regista con la psicanalisi. Lui era stato a lungo conoscente dello psichiatra iunghiano di Roma, Bernard, che aveva teorizzato la figura della “grande madre mediterranea”, come figura dominante nella famiglia e che guida tutto il cammino del maschio italiano.
Fellini tentava allora di analizzare in maniera ironico-sarcastica i suoi contemporanei e si rendeva conto che gli mancava qualcosa di fondamentale, ovvero la capacità di interpretare veramente questi personaggi che voleva prendere in giro. Già “La dolce vita” è un tentativo i respirare in maniera più profonda e di vedere meglio il mondo e di capirlo più a fondo, mettendo in campo tutta la sua sensibilità, ma per “8 e ½”si rese conto che non gli bastava la sensibilità : occorreva un approfondimento di carattere scientifico per capire come la personalità umana si può dividere, spezzettare, organizzare a livelli diversi secondo le circostanze ed è quello che viene fuori nel film. Fellini si rifà alla sua autobiografia alla luce della psicanalisi, mettendo a confronto ieri con oggi, tentando di capire le ragioni di alcune nevrosi da adulto nell’infanzia, cercando di far vedere come certi desideri sono irrealizzabili e spiegare le ragioni del perché lo sono; l’onnipotenza, ad esempio, o l’avere al proprio servizio le donne come schiave. La pellicola è interessante e innovativa perché è un modo di utilizzare con le immagini la psicanalisi come mai era stato fatto e con un linguaggio cinematografico visivo sfarzoso e vivace.
Il titolo. 
Il titolo, così curioso, è dato dal fatto che all’epoca Fellini aveva girato solo 8 film più un episodio.

ANTONIONI
Antonioni dall’altra parte si avvicina più alla fenomenologia, cioè all’osservazione dello sguardo che indaga pazientemente e lentamente nelle cose mentre Fellini cerca di penetrare dentro le questioni, di darsi ragione, cercando nel passato i motivi del malessere del presente.

Il ’68 E IL CINEMA - PASOLINI E GLI ALTRI

Il cinema italiano ne ha subito certamente le conseguenze: Pasolini con “Teorema” e “Porcile” sferra due calci alla borghesia, uno più feroce dell’altro, ma il fatto curioso è che i calci sono tirati in tutte le direzioni; Pasolini non è un ideologo partigiano, vede che questo mondo si disfà e lo vede in tutte le sue componenti. Non vede che c’è la classe che ha in mano la bandiera dell’avvenire con il sole che brilla in fronte; non vede nulla di tutto questo, osserva il disfacimento di una società di cui la borghesia era la guida. Risentono pure di questo fenomeno politico e sociale tutti i registi che fanno la commedia. Luigi Zampa nel 1968 gira “Il medico della mutua” e butta sul sarcasmo e la comicità le aspirazioni in rivolta, tant’è vero che nel 1970 gira “Contestazione generale”. “Il medico della mutua” è una farsa, per esigenze del protagonista, Alberto Sordi, che rende bene su questo genere. Rosi dopo la contestazione fa “Uomini contro” e si occupa della Prima Guerra Mondiale e se ne occupa con grande vigore e coraggio. Bellocchio nel 1967 fa “La Cina è vicina”, e i grandi viaggiano per conto loro. Sia Antonioni, sia Fellini non si lasciano sfiorare ma Monicelli sì, perché “La ragazza con la pistola” del 1968 è la rivolta di una ragazza siciliana contro il costume italiano che può essere ricollegato a questa stagione di capovolgimento di tutti i valori. Visconti gira “La caduta degli dei” nel 1969, “Morte a Venezia”, ma in realtà non c’è rapporto diretto con questi problemi. Qualcosa risente Bernardo Bertolucci con il suo “Partner” del 1968.

Differenza fra Pasolini e Scola 

Però, a differenza di Pasolini, che ha un rifiuto totale del mondo, Scola non lo rifiuta, lo vede pieno di personaggi da respingere, perché sono personaggi che non hanno nulla dentro se non cattiveria, violenza e brutalità, ma che, però, sono dei personaggi con i quali bisogna vivere, che non vanno messi al bando, che non vanno distrutti; invece Pasolini li vede sempre morti, ridotti a larve umane, come i personaggi di “Teorema”.(1).

Monografie allegate in altri articoli:
Federico Fellini
Pier Paolo Pasolini
Marco Bellocchio
Francesco Rosi
Liliana Cavani 
Luchino Visconti 
Sergio Leone
Dino Risi
Michelangelo Antonioni
Luigi Comencini 
Mario Monicelli
Nanni Loy
Ettore Scola


Di: Massimo Palazzeschi

Fonte: Editions La Malibran 1990 Paris

Pubblicato il: 02/06/2010 da Massimo Palazzeschi

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